lunedì 14 febbraio 2011

Due chiacchiere con: Enrico Cosimi


Demolition Kick – Puglia Electro Groova ha intenzione di premiarvi e di auto-premiarsi chiamando in causa producers, dj, addetti ai lavori, musicisti, ed è lieta di inaugurare un ciclo di interviste con la prima fatta ad personaggio d’eccezione, una leggenda per chi in Italia si occupa di musica elettronica: Enrico Cosimi, musicista, pubblicista, esperto di tecnologia musicale.



D.K.:
Ciao Enrico, ben trovato!
Innanzi tutto sono davvero felice di poterti intervistare. Ma partiamo subito a pieno regime!
Porti avanti quanti progetti a livello musicale? Scrivi articoli (splendidi!) su Accordo.it, sei protagonista di video (spettacolari!) sulla sintesi del suono, hai scritto un importante manuale sulla sintesi del suono, insegni all’istituto italiano tecnologie musicali a Roma, sei anche un super eroe (non sveliamo il mistero)…ma quante cose fai???

ENRICO COSIMI:
In realtà, tutto nasce da due componenti fondamentali del mio carattere: la pigrizia e la disorganizazione. Mi vado a cacciare in più situazioni di quante potrei gestirne normalmente e (per pigrizia) non riesco a dire di no, poi (per disorganizzazione) mi trovo costretto a fare tutto a velocità doppia. Comunque, la doppia vita con Mr. Shameless ha dei vantaggi: quando c’è qualcosa che non mi piace, mando avanti lui e lo lascio sfogare con le sue “buone maniere”…. hai presente il trattamento riservato al cantautore canadese?


D.K.:
Ahah, è per quello che amiamo Mr. Shameless!!! Che almeno lui ci salvi!!!
Ti va di raccontarci un po’ come ti sei avvicinato all’elettronica e come sei entrato in contatto con le macchine che ormai fanno parte integrante della tua vita? E magari di indicarci una macchina che ti sia rimasta particolarmente nel cuore?

ENRICO COSIMI:
Per certi versi, sono stato molto fortunato: in origine, ero riuscito a convincere mio padre a comprarmi il Davolisynth, una macchina molto limitata (niente filtro, niente inviluppi, niente denti di sega, solo triangolare e quadra dentro un amplificatore…) che poi, nel 1973, riuscii a convertire in un vero Minimoog Model D, usato e verniciato di nero. Ricordo che, tornato a casa, rimasi traumatizzato per una settimana buona, dopo aver ascoltato la prima sawtooth della mia vita. Ho passato mesi e mesi a sperimentare tutte le possibili combinazioni… avevo buttato giù qualche migliaio di patch sheets con i suoni trascritti sopra; oggi, il Minimoog posso usarlo anche al contrario e anche da ubriaco (cosa che, fino allo scorso decennio, era abbastanza diffusa nel live contest). Poi, è arrivato il liceo e ho iniziato a suonare con gruppi e gruppettini prig prog e prag, facendo i conti ogni volta con il problema dei trasporti (per andare a provare in cantina dal batterista, prendevo il tram con il Minimoog sotto braccio e la cosa più gentile che mi dicevano è “…ma ‘ndo vai co ‘sta pianola?”), con la mancanza di memorizzazioni e con la monofonia. Ho iniziato a lavorare part time da Musicarte (ero il “ragazzo delle tastiere” e aiutavo il magazziniere a scaricare le tastiere – dall’ARP Odyssey ai pianoforti verticali: il massimo è stato quando, in due, abbiamo fatto cadere il CS-80 di un noto professionista… un botto!) e nel negozio ho fatto pratica su tutte le macchine che mi passavano sotto le mani, facendo collezione di manuali utente, che rimangono la mia lettura preferita. Dal part time, sono passato alla redazione tecnica di Fare Musica, che nel 1981 era il più importante mensile di musica italiano e poi, nel 1985, ho progettato e gestito un corso di formazione professionale, sulle tecnologie musicali per la Regione Lazio; quello è stato il primo approccio con la didattica strutturata. Poi, si era in pieno periodo MIDI, ho investito tutto quello che avevo guadagnato in tecnologia (Emulator II+, Matrix 12, Synthex, ARP, Roland, Korg, Yamaha… praticamente tutto tranne il Rhodes Chroma) e per dieci anni ho alternato l’attività didattica con i turni in sala di registrazione. Mi sono fatto tutto il pop italiano del periodo e quando è scoppiato il fenomeno vintage elettronico, mi sono trovato in prima fila perché, semplicemente, quelle macchine erano le stesse che già usavo da un decennio abbondante… Nel periodo di massima attività MIDI, tra convertitori CV/Gate e altre carabattole, in studio avevamo superato i 256 canali simultanei; poi è arrivato il primo Mac (ma avevo iniziato con l’Apple IIe: a whopping 64Kb of RAM!) e c’è stata la lunga stagione della programmazione.  Poi c’è stato il periodo “rockstar” con gli Uniplux, Trombe Rosse, Latte & i Suoi Derivati e, parallelamente, l’ambient elettronica come Tau Ceti; il latte è andato a male, l’elettronica è rimasta, ho continuato a suonare con i sint, a scrivere sui sint, ad insegnare i sint; recentemente, ho progettato insieme a Paolo Groppioni lo step sequencer del GRP A8… Sono stato troppo prolisso?


D.K.:
Resteremmo ad ascoltarti per ore. Ed infatti non posso non farti una domanda di carattere tecnico. Un certo tipo di electro è caratterizzato da suoni distorti, acidi, non so, mi viene di citare i Justice, che tra casse spropositate, sidchain brutali e bassoni distortissimi risultano energetici come rockettari, accattivanti come funkettoni e  modaioli come clubbers. Tra onde quadre, triangolari, distorsori, bitcrusher, waveshaper, ti va di suggerirci una ricetta al volo per creare un suono di basso potente e maestoso?

ENRICO COSIMI:
Per arrivare al basso maestoso, devi sempre fare i conti con quanto spazio hai a disposizione nell’arrangiamento e nel mixaggio; se c’è solo basso e ritmica, puoi allargarti e mettere in gioco forme d’onda dense (tipo saw o square); se però lo spazio è poco, meglio ricorrere a forme d’onda più gommose e concentrate sulla fondamentale (tipo triangolare o sinusoide). Tieni presente che quello che senti nella produzione discografica finita non è solo oscillatori, ma l’intero strumento che, molto spesso, è coadiuvato da uno stadio di wavewrapper o di trattamento non lineare. Di solito, i tastieristi tendono a sottovalutare i risultati ottenibili processando il sintetizzatore in un distorsore o in un compressore messo a manetta: non essendoci dinamica (come sulla chitarra elettrica), tu puoi far impazzire il distorsore quando cambi il filtraggio o quando carichi la resonance. Allo stesso modo, puoi comprire un segnale, aumentare il decay dell’inviluppo e goderti lo schiacciamento che poi “rilascia” sulla fine della nota.
Un’altra cosa da tenere presente è che, specie per i bassi, un oscillatore è meglio di tre se non vuoi combattere con le cancellazioni di fase; ma se, invece ti serve il rombo in stile prog – se il mix lo permette – allora devi scatenare tre oscillatori sawtooth non perfettamente accordati tra loro. Tieni presente che, più carichi sul timbro, meno si capirà il fraseggio; è un compromesso tra violenza e intellegibilità. Al limite, doppi la parte con due suoni, uno pulito e l’altro distorto.
Ah, un’altra cosa: la maestosità della pronuncia musicale dipende tanto dal timbro quanto dall’inviluppo. Un inviluppo di tipo “schiacciato” (attacco e release al minimo, sustain al massimo) suona per forza, se hai sufficiente manico per gestirlo…


D.K.:
Quali sono i musicisti che ritieni più importanti per quanto riguarda la musica elettronica in generale? Quelli che secondo te sono stati fondamentali…insomma quelli che chi si avvicina a questo mondo non può assolutamente fare a meno di conoscere?

ENRICO COSIMI:
Non è una domanda leale! L’elettronica ha talmente tante sfumature che dovresti citare almeno 50 nomi diversi. Posso dirti quelli che piacciono a me, relativamente ai sotto generi elettronici che “frequento” (ma non aspettarti grandi novità…). Io direi: Schulze e Tangerine Dream (fino a Logos, eh?) per la tradizione kraut, Kraftwerk (The Man Machine è uno dei pochi album che mi piace tutto); Steve Roach e Jeff Pearce per la parte più sospesa, Current 93, Cranioclast, Kapotte Muziek, Asmus Tietchens, Harris & Bates per gli estremismi (ma, in realtà, dovrei dire quasi tutto il catalogo MusicaMaximaMagnetica degli anni ’90); ovviamente Richard Lainhart per i microsounds; Autechre e Aphex Twin (non tutto), ma questo è quasi banale; mi piace tantissimo Brinkmann e tutto il gruppo dei “reaktoriani” come Rachmiel, Lazyfish e compagni… In più c’è tutta la parte degli “storici”: Ussachevski, Babbitt, Truax…E poi (si parva magnis licet componere) mi piaccono le cose che faccio, anche se non riesco a trovare mai il tempo per terminare le registrazioni…


D.K.:
Cosa ne pensi delle nuove forme di elettronica? In sostanza come vedi la democraticità dovuta all’abbassamento dei prezzi per quanto riguarda soprattutto l’informatica musicale? Quali vantaggi e quali svantaggi ci sono secondo te, anche in base ad un salto a due piedi per tutto quello che riguarda il dominio analogico al quale giocoforza sono sottoposte soprattutto le generazioni più giovani di musicisti elettronici?

ENRICO COSIMI:
Tutto il bene possibile! Oggi, con 0 euro di programmi craccati o con 500 euro di programmi “ufficiali” si possono fare cose che voi umani… con quel che segue. Ti basta avere Reaktor e Absynth 5 per andare avanti per mesi e mesi e mesi e mesi; se poi ti interessa organizzare ritmicamente il tuo lavoro, non devi fare altro che usare Ableton LIVE e sei a posto. Secondo me, non ci sono più scuse: se non tiri fuori qualcosa di buono non è – come nello scorso secolo – perché non hai la tecnologia minima che solo le rockstar possono permettersi… è perché non hai niente da dire.
Non vedo svantaggi nella situazione attuale, a parte la pigrizia (sono un esperto in materia…) di voler andare a rimorchio sulle programmazioni altrui: negli anni ’90 c’erano le sound libraries da cui dragare e “arubbare” suoni; oggi, il rischio è quello di andare a ruota con gli user’s forum. Però, se uno si mette a fare reverse engineering con le programmazioni fatte da gente più brava, finisce per imparare presto e bene, come dicevano alle elementari…


D.K.:
Grazie mille per il tempo che ci hai concesso. Mi auguro di tutto cuore di poterci risentire più in la su Demolition Kick. E a questo proposito, un’ultima domanda: tu sei romano, sei mai stato in Puglia? Ti  è piaciuta?

ENRICO COSIMI:
Oh, yess! Come Theatrum Chemicum, ho suonato due volte a Bari, prima in un’edizione di TimeZones e poi presso l’associazione ARA Damanhur; poi ho suonato a FluidiMagici, un’altra manifestazione che si teneva nei fossati del castello d’Otranto (Walpole docet…), poi – questa volta come consulente del MIUR – ho partecipato a un convegno, ad Andria, sulla rete dei laboratori di Musica Elettronica nelle scuole superiori.
Se fosse per me, mi trasferirei domani.





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